Il Parco della Vena del Gesso è stato istituito dalla Regione Emilia Romagna nel 2005, per preservare un ambiente naturale di specifico interesse comunitario, essendo l’unica formazione geologica interamente gessosa esistente in Europa e rappresentando – per la particolare composizione chimica del substrato e per la posizione geografica – un’area ricca di biodiversità, di endemismi e di fenomeni carsici insoliti per l’Appennino centro settentrionale.

Una veduta della rocca di Brisighella – alle cui spalle si trova uno degli accessi al Parco del Carnè – e dei vigneti ed uliveti da cui si ricava un olio pregiato, il Brisighello.

La Vena del Gesso si sviluppa su una linea di crinali in direzione est-ovest, presentando perciò un lato a sud ben protetto ed esposto al sole, dove le rocce gessose riflettono luce e calore e trattengono scarsamente le precipitazioni, in virtù della loro composizione chimico-fisica. Questo permette la crescita anche ad altitudini superiori ai 500 metri di una flora tipicamente mediterranea e xerofila: Phyllirea, Pistacia terebinthus, Cistus salvifolius, Helycrisum italicum, Artemisia, Stachys recta ecc.

Nei versanti esposti a nord, più freschi, abbondano le felci, tra cui l’infestante Pteridium aquilinum; meno frequenti Polypodium australe, Asplenium trichomanes e scolopendrium e soprattutto la specie botanica più rara: la Cheilanthes persica, una felce che trova qui il suo areale di diffusione più occidentale. Tra le geofite troviamo poi il Lilium croceum, il Galanthus nivalis (o bucaneve) e il Cyclamen hederifolium; tra gli alberi e arbusti il carpino (Carpinus betulus) il sorbo, il leccio (Quercus ilex)  il querciolo (Quercus pubescens) l’orniello (Fraxinus ornus) l’alaterno, il ginepro e il nocciolo.

Il fogliame di alberi ed arbusti ha ormai assunto una intensa colorazione autunnale, esaltata dagli sprazzi di sole che, nella prima parte della nostra passeggiata, riesce a bucare la coltre nuvolosa

Il gruppo in fila indiana attraversa un uliveto e sale la ripida scalinata di pietra verso una piccola parrocchiale; a tratti lungo il sentiero affiora la formazione rocciosa tipica della zona: la vena del gesso, chiara e luccicante al sole.

Arrivati al Rifugio del Carnè, ci precedono alcuni cartelli esplicativi, che illustrano le particolarità floro-faunistiche della zona

Dentro il Rifugio, dove ci fermiamo a pranzo, alcune finestre sono ricavate da sottili lastre trasparenti di gesso: si tratta di grandi cristalli di selenite o gesso secondario, un materiale che sfogliandosi facilmente, si presta ad essere trasformato in lastre di spessore variabile. I Romani lo utilizzavano spesso come più economica alternativa al vetro, e lo denominavano “lapis specularis”.

Nel pomeriggio, pur con la pioggia, la passeggiata prosegue: con la guida raggiungiamo il fondo di due doline, che ad occhi poco esperti, appaiono come prati rotondeggianti e verdissimi circondati da un anello di vegetazione boschiva.

Questi avvallamenti sono il prodotto del lavorio dell’acqua di precipitazione meteorica, che incontrando una roccia facilmente solubile come il gesso, la erode scavando una depressione (la dolina) e riversandosi poi in un inghiottitoio, che a sua volta confluirà in profondità in un sistema di gallerie, pozzi, torrenti, laghi sotterranei e grotte. Questo fenomeno viene definito “sistema carsico” e presenta in questa zona alcuni esempi di notevole importanza, tra cui la grotta della Tanaccia, l’abisso Fantini e la grotta di Tiberio.

Visitiamo ora la Cava Marana, una cava di gesso rimasta in attività fino al 1979.   L’ingresso della cava appare all’improvviso tra la vegetazione: l’interno è un antro buio e umido ma veramente suggestivo, con il lago sotterraneo – dalle acque limpidissime e calme – che riflette come uno specchio le luci e il soffitto della grotta.

Ma finalmente ‘tornammo a riveder le stelle’, e lungo il sentiero del rientro, un costone di roccia scolpita a bassorilievo, una bel casolare di pietra e ancora i colori accesi dell’autunno, che neppure il grigiore del cielo riesce ad attenuare